Questo è solo un piccolo grido di dolore!
Dettaglio Opera
“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Vai avanti. Nessun sentimento è definitivo.”
Rainer Maria Rilke
Concept
Tre muse e regine identiche, avvolte in eleganti abiti da sera e col volto dissimulato da maschere di cranio bovino, evocano, in chiave moderna, un richiamo sospeso tra le tragedie classiche e le sacre rappresentazioni medievali. Al tempo stesso, la duplicazione delle donne, inscena una chiara visione della molteplicità dell’Io, unita alla ripetitività dei nostri traumi interiori. Attorno a queste figure, emergono campi grigi di forme geometriche astratte, che organizzano lo spazio nel solco di un diagramma dell’anima, dove anche i numeri, disposti come se fossero vertebre spezzate, aprono una riflessione sulla fragilità della vita. Martin Heidegger ci insegna che l’essere umano viaggia sempre in direzione di una gettatezza originaria, un esser-ci costantemente in bilico tra consapevolezza e oblio. Il teschio, maschera di morte e al tempo stesso di rinnovamento, richiama la vanitas: ci ricorda che la vita, in quanto finita, acquista spessore solo nel suo rapido disfarsi.
Parallelamente, la già citata interazione tra forme geometriche e figure femminili, rimanda a un dialogo tra la volontà di misurare l’esperienza (logos) e l’energia selvaggia che sfugge a ogni schema (pathos). Al centro di questa raffigurazione, una scritta richiama la potenza del Silenzio: assenza di parola che è anche presenza densa di significato inespresso. Qui il piccolo grido è un ulteriore oggetto sospeso, non urlato, ma serrato in un pesante manto grigio, in cui ogni piega, ogni macchia, diventa corpo sonoro tramutato in segno visivo. È un invito a percepire –secondo Derrida– ciò che non si vede ma che tiene in vita il discorso. Questo Grido di dolore è un dispositivo critico che ci spinge a riconoscere il nostro confine infrangibile tra ciò che mostriamo e ciò che serbiamo nel profondo. Come in un laboratorio filosofico, l’opera ci invita a sostare nell’interstizio dove la tensione è massima, per abbracciare la nostra meravigliosa e terribile condizione umana, eternamente sospesa tra bellezza e abisso, parola e silenzio.
Un Testo Evocativo
«Forse questo non è solo un quadro, ma una mappa del tremore. Un tentativo di offrire una sponda a quell’eco ancestrale che ci portiamo dentro, inciso sotto la pelle levigata delle convenzioni. Qui, la bestia indossa l’abito da sera e il teschio si fa maschera elegante, non per nascondere, ma per rivelare, con più cruda precisione, il legame tra la grazia e l’abisso nella forma di un piccolo grido soffocato, come afferma la cicatrice del testo. Ma il silenzio non è privo di peso e forma e io ho provato a dargliene una: frammenti di ordine, numeri come vertebre spezzate, geometrie come gabbie gentili, tentano di contenere figure che premono contro i bordi, pronte a sgretolarne la misura. È un equilibrio precario, un argine contro la piena che, se lasciata libera, non è più istinto vitale ma gorgo. Ho usato schegge di realtà, fotografie come reperti di un presente già antico e le ho innestate su questo diagramma dell’anima. Le ho stampate per offrire loro un corpo, un respiro sulla carta. E poi, forse, ultimo tocco, una macchia come un alito umido sul vetro e una linea sottile come il filo che ci tiene sospesi, non già per offrire spiegazioni, ma per sondare il limite. Per ricordare che questa è materia, tanto quanto lo è la nostra carne che sente. Non c’è via d’uscita chiara da questo labirinto. Neppure l’ho cercata. C’è solo un invito a galleggiare in questa trappola dolce e affilata delle cose che intuiamo, a cui ci avviciniamo con strumenti sempre più precisi –il segno, il numero, la forma– solo per sentire più distintamente il contorno del nostro invalicabile confine. Uno specchio rotto dove ogni frammento riflette la stessa, ostinata, meravigliosa e terribile domanda: chi siamo, quando smettiamo di recitare? Possiamo incontrarci nello spazio di mezzo tra ciò che mostriamo e ciò che siamo costretti a tacere, con una profonda e radicale empatia per le nostre comuni, splendide rovine.»