PROLOGO

dalla prima immagine del CATALOGO

Immaginate di trovarvi di fronte ad una composizione come questa: non è solo un ritratto e non è nemmeno la fotografia di una statua. È piuttosto un assemblaggio visivo, una superficie dove una donna dallo sguardo intenso, con teschio e corna che sembrano una corona mitologica, convive con l'algida perfezione di una scultura dell'età classica. Tra queste due figure fluttuano altri elementi: c'è un triangolo, alcuni blocchi di testo e ci sono piccoli numeri colorati come note musicali a margine di un pensiero in corso. La composizione orchestra un cortocircuito temporale dove passato e presente non si susseguono ma si interrogano reciprocamente. La giovane dea pagana reinventata non imita l'antichità ma se ne appropria per costruire un'identità che è simultaneamente arcaica e iper-contemporanea.

Immagine artistica

Ed è precisamente in questa capacità di abitare più temporalità che si manifesta l'autenticità dell'homo ludens digitale, il quale sceglie consapevolmente le proprie maschere senza alcuna nostalgia per un'origine perduta. Mentre la figura contemporanea costruisce deliberatamente la propria presenza estetica, dove ogni elemento è calibrato, dal trucco all'illuminazione, dalla posa allo styling, la scultura classica ci appare invece nella sua presunta immediatezza. Eppure sappiamo che quella naturalezza è il risultato di complessi e raffinati codici estetici dove piuttosto che dichiarare il proprio artificio lo si dissimula con eleganza millenaria. Di fronte a simili immagini, la domanda che sorge spontanea è: come si legge un'opera del genere? La risposta ci porterà in un viaggio nel cuore dell'arte concettuale, attraverso un percorso che prova a scardinare alcune abitudini consolidate, cercando di trasformare l'attuale crisi della rappresentazione nel momento in cui l'immagine smette di essere solo un oggetto da contemplare.

Un colpo d'occhio o un passo alla volta?

Tradizionalmente, siamo abituati a due modi di fruire l'arte visiva. Il primo è quello del museo: vediamo un quadro, poi un altro accanto e un altro ancora, lasciando che sia la nostra mente a creare connessioni nello spazio vuoto tra i dipinti. È un processo lento, riflessivo, un dialogo aperto che costruiamo passo dopo passo. Il secondo modo è quello del libro illustrato, dove il testo ci guida mentre l'immagine si offre come commento visivo, in una gerarchia piuttosto chiara. L'assemblaggio che abbiamo di fronte, però, rifiuta entrambe le logiche e si offre come una vera e propria diagnosi visiva. Qui non c'è un prima e un dopo, tutto si offre a noi simultaneamente, in un unico e denso colpo d'occhio. Anche il testo non è una didascalia, ma parte integrante di questo paesaggio, una struttura tipografica con la sua forma, il suo peso, la sua posizione e percezione precisa. È come se l'artista non ci stesse più offrendo degli oggetti da interpretare, ma una vera e propria immagine pensante: una configurazione che non si limita più a rappresentare un'idea, ma che pensa attraverso la sua stessa struttura.

L'invito al gioco: nascono le visio(so)phie

Ma la vera rivoluzione inizia quando scopriamo che queste opere potrebbero non essere statiche. Immaginiamo per un momento che i singoli elementi –la donna, la statua, i blocchi di testo o le figure geometriche– siano tutti elementi separabili, come i pezzi di una scacchiera o le carte di un mazzo speciale. E immaginiamo di poterli toccare, spostare o ricomporre secondo la nostra sensibilità. In quel momento, l'opera si trasforma in un'entità configurabile. Non siamo più dei semplici spettatori, ma diventiamo co-autori. Il nostro gesto di ridisporre un'immagine, modificare un testo o aggiungere ulteriori elementi, non è un'interazione superficiale, ma un vero e proprio atto creativo per certi versi simile ad una performance. Iniziamo a pensare con le mani, attiviamo una forma di conoscenza tattile, fisica, che la semplice contemplazione difficilmente potrebbe restituirci. L'opera non è più oggetto finito, ma processo aperto, un campo di possibilità infinite, un agglomerato di relazioni, un meccanismo dove ogni nuova configurazione produce nuovi significati di cui vogliamo venire a conoscenza.

L'impronta umana e il gesto che rende l'opera unica

Questo viaggio può spingersi ancora oltre. Cosa succede se prendiamo una di queste configurazioni, la stampiamo e poi interveniamo manualmente? Un tratto di matita, una pennellata di colore acrilico, un graffio, un'annotazione a margine o la semplice scelta del formato di stampa e della carta da usare. In un'epoca di riproducibilità digitale infinita, questo gesto, apparentemente banale, diventa un atto di straordinaria potenza. Rappresenta il momento in cui l'opera, nata da un processo digitale, riconquista un'aura unica e irripetibile. L'imperfezione del tratto manuale, il tremore della mano, la sottile imprecisione non sono più difetti, ma il sigillo della presenza umana: io sono qui, adesso. In un mondo sempre più popolato da algoritmi e perfezione artificiale, questa semplice azione diventa l'ultimo baluardo dell'irriducibilità del corpo, del tempo vissuto, dell'esistenza e di una specifica modalità di decolonizzazione digitale.

Il dilemma della conservazione e il gemello libero

A questo punto, sorge un problema intrigante: come si conserva un'arte così viva e mutevole? Se la sua natura è quella di essere manipolata e trasformata, possiamo preservare l'intenzione originale dell'artista? La soluzione è semplice: offrire l'opera in duplice copia. Una versione sigillata, stampata su un supporto rigido e permanente, diventa una sorta di matrice, quasi l'equivalente della vecchia lastra fotografica. È l'archetipo intoccabile, il testimone silenzioso che garantisce la persistenza dell'idea originaria. Più versioni libere e manipolabili, diventano il campo di un'infinita sperimentazione. È qui che l'opera continua a vivere, a evolversi, a raccogliere le tracce degli interventi del pubblico, scrivendo la propria biografia. Questa doppia presenza crea una meravigliosa tensione. Il fruitore può contemplare l'originale nella sua iniziale perfezione e, al tempo stesso, agire sul suo gemello libero, senza l'ansia di rovinare qualcosa di irrimediabile. È un invito a osare, a sperimentare, sapendo che il gesto non cancella l'origine, ma aggiunge un nuovo capitolo alla sua storia. In definitiva, queste opere-processo non sono più oggetti da ammirare, ma strumenti per navigare la complessità del reale, specchi dove la nostra creatività può finalmente lasciare un'impronta tangibile e preziosa.

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