Ego Conflicts
Dettaglio Opera
"Ah, l'Io! Demone e spia di se stesso.
Vulnerabile come un'ala spezzata, geloso del suo inganno.
Piccolo insetto in una teca, misero nel desiderio represso."
Tre figure emergono dal rosa pallido come apparizioni di un sogno freudiano mai completamente metabolizzato. Due donne nude tengono tra le mani teschi animali come se fossero specchi deformanti della propria mortalità. I teschi sono chiari, levigati, vuoti: sono la morte resa ornamento, la fine trasformata in oggetto da contemplare a distanza di sicurezza. La prima donna guarda dritto verso di noi con occhi che non chiedono perdono né offrono spiegazioni. Il teschio è insieme protezione e dichiarazione: "Ecco cosa custodisco, ecco cosa nascondo dietro la vita, l'ossatura della fine, il promemoria che ogni carne è temporanea." La seconda donna, sfocata sullo sfondo, china il capo in un gesto che potrebbe essere preghiera o rassegnazione. E poi c'è lui, l'uomo al centro, sovra-vestito in quel cappotto grigio-blu che sa di autorità, di controllo, di distanza. Le piccole corna che spuntano dalla sua testa potrebbero essere parodia o inquietante verità: è il demonio mascherato da borghese, l'angelo decaduto che ha scelto il grigiore amministrativo come nuova tonalità dell'inferno. Il suo sguardo è la chiave di tutto: fisso, duro, inquisitorio. Non guarda le donne, le cataloga. Non le desidera, le archivia. È lo sguardo del collezionista che ha trasformato l'eros in tassonomia e la passione in inventario.
Sul lato destro, il grigio cinereo fa da sipario a una natura morta che è anche natura immobilizzata: tre barattoli di vetro su un piedistallo marmoreo contengono insetti perfettamente conservati. Libellule, vespe, farfalle, creature che nella vita erano sinonimo di movimento, di volo, di metamorfosi e ora sono esemplari, conflitti dell'Io come recita la targa metallica in alto, con quella tipografia da gabinetto delle curiosità. Gli insetti volano ancora attorno ai barattoli, ma è un volo illusorio, un'eco fantasmatica dei loro fratelli imprigionati. Sono le anime che non si rassegnano alla catalogazione? O sono semplicemente altri candidati alla collezione, altri ego in attesa di essere catturati, trafitti e poi etichettati?
Le parole che scorrono nell'opera sono la vera chiave interpretativa. Sono l'uomo moderno: né completamente bestia né completamente angelo. Ecco la condanna: la medietà come stato esistenziale permanente. Non abbastanza animale per essere libero dall'autocoscienza, non abbastanza divino per trascendere la carne. Le donne dietro di me tengono in mano i teschi della mia mortalità, mentre io stesso non sono che un insetto prezioso in una fragile teca di vetro, il collezionista che cataloga i propri fantasmi. Qui si compie il rovesciamento vertiginoso: l'uomo che si credeva curatore si scopre reperto. Il collezionista è anche collezione. Chi cataloga è anche catalogato. E quella "grandezza" di cui parla: "la mia grandezza è la mia miseria: consapevole di essere nulla, eppure incapace di rinunciare all'illusione di essere tutto", la definizione perfetta del conflitto dell'ego. L'ego è solo un insetto sotto vetro, conservato in formalina ed esposto nella teca dei conflitti esistenziali.
Perché le corna? Perché quella smorfia di disappunto sul volto dell'uomo? Perché il demoniaco si manifesta proprio attraverso il grigio della burocrazia emotiva? Freud ci insegnerebbe che il demone è il ritorno del represso, è tutto ciò che l'ego ha dovuto nascondere per poter funzionare in società. Ma qui il demone non è più nascosto: è in bella vista, anche se ridotto a cornetti quasi comici. È il demone addomesticato, il Satana da ufficio, quello che firma moduli di dannazione con la stessa espressione con cui si firmano contratti di assicurazione. Le donne nude con i teschi rappresentano l'Anima nella terminologia junghiana, il femminile interno, la parte dell'uomo che custodisce la consapevolezza della morte e della trasformazione. Sono nude perché non possono mentire. Tengono teschi perché conoscono la verità ultima che l'ego in cappotto vorrebbe ignorare. Gli insetti in barattolo sono i catalogati, quelli apparentemente sotto controllo. Ma sotto il tavolo, per ogni insetto classificato, ce ne potrebbero essere migliaia che pullulano nell'ombra, che premono dal basso, che aspettano solo una crepa nel vetro per invadere la coscienza.
Il pudore non sta nel velare il corpo ma nel velare l'anima e l'uomo in cappotto è l'esempio perfetto di questa inversione. L'uomo, coperto fino al collo, è in realtà oscenamente nudo nella sua presunzione di controllo. Quest'opera è uno specchio a tre facce. Ogni parte riflette le altre e noi osservatori siamo la quarta faccia invisibile di questa collezione. Guardando l'uomo che guarda le donne che guardano i teschi che guardano il vuoto, realizziamo che il vero conflitto dell'ego non è tra essere e apparire, ma tra il guardarsi vivere e il vivere veramente. L'ego è questo: un piccolo insetto prezioso che ha sviluppato la capacità di osservarsi, di catalogarsi, di mettersi in teca da solo. E forse l'ironia suprema dell'opera sta proprio in quel cartello "EGO CONFLICTS": non è una diagnosi, è un'etichetta da museo. Come se i nostri conflitti identitari fossero già reperti storici, esemplari di una specie umana che un giorno verrà studiata da qualcun altro. Noi restiamo lì, tra il rosa della carne vulnerabile e il nero della catalogazione definitiva, chiedendoci in quale barattolo finiranno i nostri di conflitti e con quale etichetta verranno archiviati i nostri di fantasmi.