visio(so)fia dell'Incontro Impossibile

Dettaglio Opera

Visiosophia 05

"Le formiche esplorano il tetraedro con la pazienza di chi sa che Platone non
ha mai dovuto trasportare una briciola lungo uno spigolo infinito.
Se Cartesio avesse osservato una cavalletta meditare davanti a un cubo,
forse avrebbe dubitato meno e saltato di più."

C'è una verità che sussurra dal lato sinistro dell'opera, dove la luce pallida illumina una scena che potrebbe essere accaduta ieri come milioni di anni fa: tre insetti -una formica operaia, una cavalletta filosofa e un silenzioso scarabeo- si confrontano con la geometria pura. Una piramide si erge come un monolito, struttura rigorosa che sfida la logica organica del mondo articolato e pulsante degli insetti. La formica, creatura dall'infinitesima tenacia, si trova di fronte al paradosso della forma perfetta. Può trasportare dieci volte il suo peso, ma come si solleva il fardello dell'astrazione? Come portare sulle mandibole un concetto platonico? Il cerchio grigio che levita sopra la scena è forse l'occhio spento di un dio geometra che osserva l'incontro impossibile tra il regno dell'istinto e quello dell'idea. C'è qualcosa di commovente in questa sproporzione: gli insetti, con la loro antica saggezza evolutiva, le loro antenne che tastano l'invisibile, i loro corpi perfettamente adattati a un mondo di fessure e residui, si trovano a contemplare forme che non si possono mangiare, non si possono abitare, non servono a nessuna funzione vitale. Eppure non fuggono. Esplorano. Come se intuissero che anche l'inutile ha un suo senso segreto.

Il lato destro dell'opera si immerge nel nero assoluto, in questo vuoto cosmico la scena si fa più intima, più carica di tensione esistenziale. La cavalletta si è accovaccia come un monaco zen davanti ad un koan. La sfera marmorea riposa sul parallelepipedo con una stabilità che sembra miracolosa, mentre il triangolo rosso sangue che levita in alto è solo un segnale o una direzione verso un grido di colore. La formica più piccola, quasi invisibile accanto ai giganti geometrici, continua il suo lavoro. Non si lascia impressionare dalla sfera che potrebbe schiacciarla con un lieve rotolamento. Lo scarabeo, sacro nell'antico Egitto, qui è solo un'altra presenza curva sul mistero della forma.

Ma perché gli insetti? Perché queste creature che nei sogni rappresentano l'inquietudine, l'invasione, il pullulare di pensieri non voluti? Kafka lo sapeva bene: l'insetto è ciò che siamo quando ci vediamo dal di fuori, quando l'identità si rivela per quello che è, un esoscheletro fragile, un insieme di segmenti articolati che potrebbero separarsi in qualsiasi momento. Gli insetti sono i pensieri ossessivi che tornano sempre, le piccole paure che rodono dal basso, ma sono anche la capacità di adattamento assoluto, la resistenza di ciò che vive ai margini. Sono contemporaneamente disgustosi e affascinanti, meccanici e vitali, individui e legione. Freud avrebbe visto in queste formiche che esplorano solidi platonici il tentativo dell'Io di dare forma razionale all'indistinto della psiche. Jung vi avrebbe riconosciuto gli archetipi dell'ombra, quella parte di noi che striscia, che si nasconde sotto le pietre, che esce solo di notte ma che è essenziale all'equilibrio della psiche.

La divisione verticale dell'opera crea due mondi: uno diurno, contemplativo, quasi sereno nella sua luce diffusa; l'altro notturno, drammatico, segnato dal rosso dell'urgenza o del pericolo. Ma gli insetti abitano entrambi con la stessa naturalezza. Per loro non c'è differenza ontologica tra giorno e notte, tra bianco e nero, tra essere visti ed essere nascosti. Queste figure richiamano i cinque solidi platonici che secondo gli antichi componevano l'intera realtà: terra, acqua, aria, fuoco, cosmo. Gli insetti li esplorano come se dovessero verificare questa teoria, come se la loro piccola intelligenza tattile potesse decifrare il codice ultimo della materia. Quest'opera ci pone davanti alla domanda più antica: cosa accade quando la vita incontra la forma pura? Quando l'organico, con tutta la sua imperfezione evolutiva, si confronta con la perfezione astratta dell'idea geometrica? Non c'è veramente incontro impossibile. Tutto può essere esplorato, tutto può essere abitato, anche l'astrazione più gelida. E forse il vero messaggio psicoanalitico dell'opera è questo: le nostre angosce più piccole, i nostri pensieri-insetto, le nostre paure che strisciano e ronzano, non sono nemici da schiacciare ma esploratori necessari. Sono loro che tastano i confini della nostra geometria interiore, che verificano la solidità dei nostri poliedri, che scoprono le crepe nei nostri tetraedri perfetti. Senza gli insetti dell'anima, la forma resterebbe vuota. Senza le formiche del dubbio, il cubo cartesiano sarebbe solo un'astrazione sterile.