L.O.W.

Camera Grammar Exercises

"Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose. Ci sono le regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte della sosta transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli alberghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo e della casa. Ora, fra tutti questi luoghi che si distinguono gli uni dagli altri, ce ne sono alcuni che sono in qualche modo assolutamente differenti; luoghi che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a compensarli, a neutralizzarli o a purificarli. Si tratta in qualche modo di contro-spazi. I bambini conoscono benissimo questi contro-spazi, queste utopie localizzate. L'angolo remoto del giardino, la soffitta o, meglio ancora, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta, e infine –il giovedì pomeriggio– il grande letto dei genitori. E' in quel letto che si scopre l'oceano, perché tra le sue coperte si può nuotare; ma quel letto è anche il cielo, perché nelle sue molle si può saltare; è il bosco perché ci si può nascondere; è la notte, perché fra le sue lenzuola si diventa fantasmi; ed è il piacere, perché al ritorno dei genitori si verrà puniti."

M. Foucault
L.O.W. Camera Grammar Exercises

I dieci polittici di questa collezione sono un concentrato di fotografie insolite! Nascono dal desiderio di provare a realizzare immagini basate su regole formali ben definite: una specie di grammatica visiva in grado di (r)accordare cose come volti, statue, colonne, nastri di seta, foglie e formiche… con un insieme di regole su luci, ombre, contrasti, chiaroscuri, composizione della scena… in modo da provare a far dialogare due entità della stessa natura: fotografia e linguaggio. C'è ancora una questione: ogni immagine è caratterizzata dalla presenza di curiosi tentacoli in grado di concatenare tra loro più foto a partire da un gruppo di relazioni che danno origine ai dieci polittici di questa collezione. Così, come in linguistica un periodo è usato per organizzare il testo e comunicare idee complete, allo stesso modo in questo lavoro sarà il polittico e non la singola foto a tratteggiare l'intenzione e l'interpretazione che si desidera trasmettere. Ma procediamo con ordine: la genesi di questi esercizi di grammatica fotografica è piuttosto lunga e risale alla mia esperienza universitaria quando occupavo le giornate tra lo studio dei sistemi formali, la lettura delle opere di Borges e la stampa in camera oscura. Per i più curiosi, aggiungerei tra i passatempi preferiti anche i giochi linguistici, dai quali è scaturito proprio il titolo di questo lavoro. Nell'accezione più comune LOW potrebbe alludere al fatto che tutte le immagini presenti in questa collezione sono caratterizzate da toni scuri, da una chiave bassa (come si usa dire nel gergo della fotografia), il titolo potrebbe però riferirsi anche a qualcosa che ha affinità con ciò che è debole, scarso, fragile, basso… LOW appunto! Dovrò avvisare il lettore che prima di giungere a questo titolo ho immaginato diversi acronimi che potessero offrire una sintesi sulla natura di questi polittici. Tale divagazione va vista solo come un bizzarro esercizio di stile prima di tuffarsi nel mare aperto della creatività. Ma eccovi una piccola lista dei possibili acronimi che potrebbero accompagnare il senso di questi strani esercizi fotografici:

L'ultimo, il più corto, è proprio LOW, inteso anche come possibile acronimo di una generale Debolezza degli Ordini Limitati: una discreta sintesi di quest'opera. Va ricordato che qualunque sia il modo attraverso cui rivolgiamo gli occhi al mondo, dobbiamo sempre essere consapevoli dei suoi limiti invalicabili. Qualsiasi costruzione che punti ad eliminare disordine dalla realtà non potrà che farlo in modo circoscritto, parziale e precario. Ecco perché quest'opera si annuncia silenziosamente, prediligendo una luce soffusa, talvolta ai limiti del visibile e lasciando intendere ciò che viene rappresentato come un mare arcano e profondo, come la punta di qualcosa di molto più variegato e insondabile. L'elemento centrale di questa sorta di linguaggio fotografico formalizzato si snoda attorno al vasto concetto di relazione, caratterizzato dalla connessione, associazione o interazione tra elementi all'interno di uno stesso sistema strutturato di regole. Questi elementi possono essere simboli, parole, blocchi di immagini e altro a seconda del contesto. In un linguaggio formale, a rigore, esistono diversi tipi di relazioni che giocano un ruolo cruciale nell'organizzare e definire la struttura stessa delle espressioni all'interno di quel linguaggio. Quella che segue è una rapida e incompleta carrellata di esempi:

Ogni tipo di relazione svolge così un ruolo specifico nell'organizzazione delle espressioni e nel definire il significato delle costruzioni all'interno del linguaggio formale. Questa digressione è anche all'origine di un particolare modus operandi che mette al centro dell'attività creativa l'idea di processo (o procedura) visto come una sorta di sistema di produzione. Nel 1920 il matematico e logico americano Emil Post introdusse un modello matematico per la descrizione e l'analisi della produzione di teoremi. Un sistema di produzione di Post è costituito, in estrema sintesi, da un insieme di assiomi, un insieme di regole di produzione e un meccanismo per applicare le regole agli assiomi e ai teoremi derivati, in modo da poter generare tutti i teoremi validi nel dato sistema formale. In modo differente, ma non senza poche analogie col mondo della logica, ci piace azzardare l'ipotesi che anche una parte della produzione artistica possa essere in qualche maniera riconducibile ad azioni che siano formalizzabili e quindi prodotte con automatismi in grado di assemblare oggetti (gli assiomi) con illuminazione, contrasto, composizione… (le regole di produzione) per forgiare le nostre immagini finali (i teoremi) a loro volta riutilizzabili o iterabili all'interno del medesimo meccanismo di produzione.

Nello specifico, la maggior parte delle immagini di questa collezione è stata creata anche a partire da algoritmi di generazione automatica del tipo text-to-image che, oltre ad allargare lo spettro di quelli che sono i nostri assiomi e regole di produzione e a parte i doverosi distinguo sul piano tecnologico, non si discostano poi tanto da un'idea di sistema formale. Giusto per complicare un po' le cose, nel precedente processo di produzione ho accennato alla possibilità di usare anche le immagini già derivate dall'applicazione di assiomi e regole di produzione. Inoltre ciò che ci interessa come risultato finale non sarà mai la singola foto (elemento la cui natura è più strettamente sintattica) ma l'insieme di immagine più interpretazione, resa nello specifico di questo lavoro proprio dall'utilizzo dei polittici con il loro sistema di relazioni. Il concetto di relazione, oltre ad essere centrale all'interno del processo creativo descritto -dovendo appunto concatenare oggetti e regole di produzione- è anche l'argomento stesso di questo lavoro. Evidentemente non riuscivo a stare lontano da strutture ricorsive a me care. Non è tuttavia questa la sede per approfondire tali questioni, per cui è ora di tornare al mondo delle immagini per cercare di trasporre in maniera più artistica tutte le precedenti considerazioni.

Da arguto quanto improvvisato filosofo, mi sono avventurato con entusiasmo in questa disquisizione sull'ardua questione se la fotografia possa essere considerata o meno un linguaggio. L'artista, con il suo ingegnoso intreccio di immagini, può senza dubbio creare un sistema di relazioni che evochi una sorta di grammatica visiva. D'altro canto la scelta di accostare determinate fotografie, di giocare con la luce, i colori, le inquadrature e le composizioni, suggerisce un percorso narrativo, un'idea, un'emozione. In questo senso, si potrebbe quindi affermare che l'artista stia tentando di costruire proprio un linguaggio, seppur non formalizzato, con le sue peculiarità e la sua intrinseca coerenza. Sul fronte opposto la fotografia si discosta, invece, dal linguaggio per alcuni aspetti: manca di un sistema di simboli riconosciuto universalmente dal momento che il suo significato può variare in base all'interpretazione soggettiva del fruitore. Inoltre le immagini possono essere ambigue, polisemiche e prestarsi a numerosi fraintendimenti. Infine sono fortemente dipendenti dal contesto, essendo il significato di un'immagine influenzato dalla cultura, dalla storia e dalle esperienze personali del fruitore. In definitiva, la questione se la fotografia possa essere considerata un linguaggio vero e proprio rimane aperta. Tuttavia, l'opera dell'artista ci dimostra che le immagini possono essere utilizzate per comunicare idee complesse e costruire narrazioni evocative grazie al suo potente impianto comunicativo.

Forse, più che di un linguaggio formalizzato, potrebbe essere corretto parlare di un linguaggio in divenire, un terreno fertile per la sperimentazione, dove le immagini si affrancano dalla mera rappresentazione del reale per assumere un ruolo di narrazione e introspezione psicologica. In conclusione, la fotografia non è un linguaggio come il verbo o la scrittura, ma possiede comunque la capacità di creare un dialogo potente tra le cose. Infine se l'immagine verrà raccordata e congiunta ad un testo scritto e se il linguaggio farà da legante nel dialogo aperto che si instaura sia a livello della singola immagine sia nel rapporto tra più fotografie, ecco che anche il concetto di relazione diventa a dir poco centrale. Ma allora quale ruolo potranno mai avere le relazioni in un lavoro come questo? Jorge Luis Borges nel suo celebre racconto: L'idioma analitico di John Wilkins propose una stravagante classificazione dell'Emporio celeste di conoscimenti benevoli (una curiosa enciclopedia cinese) che colpì, fra gli altri, Michel Foucault, il quale la indicò come ispirazione del suo saggio: Le parole e le cose. Cito testualmente:

Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in
(a) appartenenti all'Imperatore,
(b) imbalsamati,
(c) ammaestrati,
(d) lattonzoli,
(e) sirene,
(f) favolosi,
(g) cani randagi,
(h) inclusi in questa classificazione,
(i) che s'agitano come pazzi,
(j) innumerevoli,
(k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello,
(l) eccetera,
(m) che hanno rotto il vaso,
(n) che da lontano sembrano mosche.

Questo suggestivo esempio di letteratura fantastica è proprio l'anello di congiunzione di cui avevo bisogno per dar vita al mio personale gruppo di relazioni che posso, finalmente, presentare in via ufficiale:

Un concetto chiave espresso da Arthur Danto, filosofo e critico d'arte statunitense, è la capacità dell'arte di trasfigurare oggetti ordinari in opere d'arte. Questo processo di trasfigurazione, quando diventa oggetto di riflessione esplicita, può rendere un'opera filosofica. Nella citazione iniziale di Michel Foucault c'è tutta la mia personale visione sui soggetti che ho scelto per questa collezione: sono i miei contro-spazi, i quali cancellando una parte del buio quadrato iniziale, trovano la propria dimora in questo universo di figure illusorie e di storie improbabili. Il connubio tra linguaggio e precisione fotografica continua ad appassionarmi per l'inesauribile capacità di presentare al nostro sguardo una realtà che sa essere contemporaneamente sia vera che falsa!

L.O.W. Camera Grammar Exercises